Tutti sappiamo che durante il lockdown i tabaccai sono rimasti aperti. Questo è avvenuto nonostante sia – almeno a parole – scoraggiato l’uso delle sigarette. È ben noto che fumare tabacco è un’abitudine nociva per la salute ma, nonostante questo, oltre un miliardo di persone nel mondo continuano a fumare imperterriti. Analogamente, migliaia di persone ogni anno muoiono a causa del fumo.
Ma ase è così pericoloso e così sconsigliato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, perché è stato deciso di far restare aperti tabaccai in un momento di grave crisi sanitaria? La risposta è semplice: perché incidere sullo stress creando (anche) l’astinenza dal fumo sarebbe stato un ulteriore appesantimento delle quarantene. Ma le astinenze non si fermano alla nicotina, interessano tante altre sostanze, legali e non, che di questi tempi, se consumate consapevolmente, potrebbero accompagnare il distanziamento sociale.
Così, riteniamo che la legalizzazione della marijuana, almeno sul versante della sua produzione domestica, avrebbe dovuto accompagnare il lockdown e questo periodo della fase due che stiamo vivendo, fondamentalmente per dare la possibilità di far rilassare gli ipotetici consumatori dalle condizioni di stress che si sono venute a creare.
Si tratterebbe di una misura di “buon senso” da far trapelare – tra l’altro in parte già suggerita recentemente dalla Corte di Cassazione – che un domani, “quando tutto questo sarà finito”, potrebbe evolversi in una misura di buon governo.
In attesa che il Parlamento discuta di legalizzazione della cannabis, partendo dalla proposta di legge “Legalizziamo.it” presentata nel 2016 alla Camera, il 20 aprile è partita la mobilitazione #IoColtivo di MeglioLegale.it, DolceVita.it Associazione Luca Coscioni e Radicali Italiani per far crescere una piantina in casa.