Le coltivazioni di cannabis light sono legali e consentite solo se si utilizzano dei semi di cannabis certificati di tipo light come questi: per essere chiari, sono quelli che fanno parte delle varietà di marijuana legale che sono state indicate dal Ministero delle Politiche Agricole nel catalogo comune in base all’articolo 17 della direttiva CE 53 del 2002.
Secondo tali direttive, è necessario che le varietà di marijuana light per essere considerate legali abbiano una concentrazione di THC non superiore allo 0,5%. Rispettando tale limite, di conseguenza, non si correrà il rischio di cadere in procedure penali che potrebbero essere mosse nei confronti di chi non rispetta la legge.
In Italia è possibile coltivare in casa la cannabis a patto che tale pratica sia destinata unicamente a un uso personale e preveda il ricorso a un numero minimo di piante. Il quadro normativo di riferimento da questo punto di vista è rappresentato dalla sentenza del 19 dicembre dello scorso anno della Corte di Cassazione, attraverso la quale è stato dato il via alle attività di coltivazione.
Si parla, nello specifico, di coltivazioni di dimensioni minime che devono essere effettuate in forma domestica. Queste non sono rilevate in grado di integrare il mercato degli stupefacenti per effetto del numero ridotto di piante, da cui si potrebbe ricavare una quantità di prodotto modesta, e del carattere rudimentale delle tecniche che vengono adottate. Insomma, tutti fattori che mettono in chiaro come si tratti di una produzione finalizzata solo all’uso personale da parte di chi coltiva.
Ciò non toglie, comunque, che debbano sempre essere rispettate le prescrizioni contenute nella Legge 242 del 2016, nella quale vengono indicate tutte le condizioni a cui attenersi per le coltivazioni e le varietà di marijuana che possono essere utilizzate per questo fine. Ora le coltivazioni domestiche di esigue quantità non sono più perseguibili penalmente.